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Una “BOTTA DI VITA” di Bruno Bolognesi

Treno storico Ancona Fabriano Pergola

Fabriano 6 luglio 2024; ore 17:00.

C’è uno strano movimento, un’euforia palpabile nell’aria sul marciapiede del primo binario alla Stazione Ferroviaria di Fabriano; gruppetti di persone cercano riparo all’ombra della pensilina. L’altoparlante annuncia alcuni convogli in transito, mentre il sole, che si abbassa sull’orizzonte, guadagna centimetro dopo centimetro sul marciapiede, spingendo i viaggiatori in attesa a ridosso del muro e all’interno dell’atrio. Volti risi e niente valigie: questo è l’identikit della varia umanità in attesa del Treno Storico Fabriano – Pergola formatosi in Ancona.

Ore 17: 42; con un fischio che spezza l’aria ferma del pomeriggio, il convoglio che tutti aspettano si instrada sul binario 1; sul bordo della linea gialla di sicurezza, una miriade di telefonini riprendono il locomotore D345 del 1960 in avvicinamento che traina quattro carrozze Centoporte fabbricate nel 1935 per le lunghe percorrenze sia livello nazionale che internazionale. Alle 17:45 il treno ferma stridendo sul primo binario con un po’ di ritardo, del resto cosa si può chiedere ad un’attempata signora dalla livrea verde e rossa su fondo marrone, che per l’occasione si è rimessa a nuovo, se non un certo margine di tolleranza?

Saliamo, anzi ci arrampichiamo sui ripidi scalini della Carrozza 1 di “terza classe” a noi assegnata e ci accomodiamo (si fa per dire) sulla panca di legno del nostro scompartimento; un’occhiata intorno, un saluto e alle 18:07, con un leggero strattone, il convoglio inizia il suo viaggio di 31 chilometri sul “Binario Senza Tempo”, destinazione Pergola, la città dei Bronzi Dorati, delle cento chiese e del vino di visciole.

Il treno lascia la Stazione di Fabriano e, col suo carico di circa trecento viaggiatori, si avvia con calma verso la sua destinazione finale. Gli organizzatori e gli animatori si danno un gran da fare, ognuno nella carrozza di competenza: in non men che non si dica vengono offerti snack e bevande, vino compreso per alleviare la traversata degli argonauti. “E’ pericoloso sporgersi” c’è scritto all’interno del portellone col finestrino apribile, con traduzione in lingua francese e persino in tedesco. Sembra una stupidaggine soffermarsi su questi dettagli apparentemente di poco conto, ma, dopo un mucchio di anni, risalire a bordo su di una carrozza del genere, mi fa fare un salto indietro, una vera e propria capriola nel tempo e nello spazio, dove ci si affacciava ad uno di quei finestrini allungando il braccio per agguantare quell’aria fresca che ti spettinava i lunghi capelli, facendo anche la dovuta attenzione a non prendere in pieno i piloni di cemento che fiancheggiavano la strada ferrata; Il paesaggio mutante ti sfuggiva davanti agli occhi curiosi della gioventù, fumare una mezza sigaretta con la testa fuori dal finestrino che goduria,  consapevole che l’altra metà se la pippava il vento.

Oggigiorno in treno, che sia Locale, Intercity, Italo o Freccia Rossa, si è praticamente “sigillati all’interno”; aria condizionata o troppo fredda o troppo calda; niente fumo, posto assegnato, annuncio automatico delle diverse Stazioni che si attraversano e persino il percorso del convoglio che si può seguire sui monitor attaccati al soffitto.

Adesso, invece, siamo qui su questo treno allegro e spensierato, con le tendine marroncine e damascate disegnate (si dice) da Louis Vuitton, che svolazzano allegramente in aria sulle capigliature di qualche signora che se la ride col vicino di posto incontrato per caso solo pochi minuti prima alla Stazione. Il viaggio nel tempo continua fra taralli, patatine, un goccio di rosso o bianco tanto per dar forza al discorso, magari con la vicina di banco, pardon: la vicina del posto 29.

Ma non divaghiamo troppo. Riagguantiamo il presente: il paesaggio, per esempio, che scorre lentamente interrotto qua e là dai buchi neri delle fumose gallerie, o la guida che ci accompagna che diffonde attraverso altoparlanti, sistemati sui porta valige sopra le nostre teste, le sue puntuali competenze storiche e le varie raccomandazioni che si fanno di rito, affinché ognuno dei viaggiatori, con una buona dose di buonsenso, possa contribuire alla riuscita dell’avventura.

Alle 18:35 Sassoferrato passa senza che nessuno di noi se ne accorga, un fischio della 345 rompe il filo di un discorso arzigogolato col dirimpettaio, di rimbalzo, un contadino col suo cane saluta quell’ammasso di ferro rotolante che taglia in due il suo podere bruciato dal sole di luglio.

E dopo quattro tunnel, quelli con ai bordi la riga bianca che sale e scende, Il Casello di Rucce Viacce, Bastia Coccore e su, sulla punta di un monte, a bucare la lastra blu del cielo: il campanile della chiesa di Bellisio Solfare, planiamo lentamente, in falso piano, sulla variopinta Stazione di Pergola: il capolinea.

Sono le 19:30 e tutto va bene; sul piazzale antistante ci attendono quattro autobus a due piani e, dopo qualche momento di confusione, gli organizzatori ci conducono al nostro torpedone.

Che si fa? qualcuno pensa tra se, un attimo dopo, dall’altoparlante del bus esce una frase che farà tutti contenti: “Signori, ora si va all’Agriturismo per la cena”. Il mio amico, di sottecchi, si allunga verso me dicendo con un fil di voce: “A stomaco pieno si ragiona meglio, e poi, come si dice: ‘na cosa fatta è fatta, no?” ed io: “E beh, certamente.”.

Scortato da un furgone con tanto di lampeggianti, il gigantesco autobus arranca su stradine di campagna con la cautela del caso; giunti ad un curvone, dietro di noi sento qualcuno che scommetteva col vicino: “Qui deve fa’ manovra, con una non gliela po’ fa!”. Fatto, arrivati sani e salvi a destinazione, senza manovre aggiuntive dell’esperto guidatore, al quale ho avuto modo di fare i nostri complimenti.

Radunati su di un prato con vista Monte Catria, vigneti e campi coltivati, la signora responsabile del nostro gruppo ci dice:” Signori, non abbiate fretta, fate foto, prendetevi il tempo per ammirare il paesaggio, per contemplare la natura, abbiamo tempo per la cena”.

Neanche a dirlo: dopo pochi minuti, fatte le dovute foto, data una rapida occhiata attorno, tutti hanno diligentemente preso posto a tavola, non prima di aver posato borsa e zainetti come segna posto, per recarsi giustamente al bagno più vicino. La tavola è un convivio si sa e, tra un boccone e l’altro, ti invoglia a fare conoscenze estemporanee, che durano giusto il tempo che va dalle lasagne al caffè, ma va bene lo stesso, perché parlare, relazionarsi, soprattutto di questi tempi, è un motivo in più per sentirsi vivi.

Pergola, dopo cena: ingresso al Museo dei Bronzi Dorati e della Città; in due gruppi visitiamo le diverse stanze dell’ex Convento ammirando mosaici di Domus dell’antica Roma ritrovati in zona, sapientemente restaurati; vetrine contenenti vasellame ed altri interessanti oggetti; il caldo strige la morsa e qualcuno inizia a sventolarsi piegando in due il foglio contenente il programma della gita, ma tutto prosegue, una guida museale ci descrive le monete esposte nella Sala Numismatica, ognuno ammira come può parte dei 138 Baiocchi settecenteschi coniati dallo Stato Pontificio e nel breve periodo della Repubblica Romana.

Il tempo stringe: dalla sala con ostensori porta reliquie, tele più o meno grandi a sfondo religioso di artisti cinquecenteschi di un certo rilievo, finalmente passiamo in una stanza multimediale appositamente approntata; ci troviamo al cospetto dei meravigliosi Bronzi Dorati di Cartoceto, datati al primo secolo avanti Cristo, ritrovati casualmente da un contadino intento a scavare un fosso per far defluire le acque di un spaventosa alluvione che colpì quel territorio.

Ammirare i due cavalieri al centro della scena affiancati da due figure femminili, che nel loro silenzio eterno raccontano le gesta e la grandezza di Roma antica, al contempo le stesse figure femminili esprimono a piene mani il loro alto rango, l’emancipazione delle donne di quell’epoca lontana dall’alto del metro e ottanta della loro altezza. Un restauro straordinariamente eseguito ci dona questo tesoro inestimabile partorito dalla nostra terra; la perfezione e l’accuratezza di questi capolavori è un inno al genio dell’uomo che non finisce mai di stupire a distanza di secoli.

Più tardi, con tanta bellezza e stupore ancora dentro di noi, ci avviamo verso Cabernardi, la Miniera di zolfo, che per decenni è stata ricchezza, sofferenza in questo territorio.

Il Parco Archeo minerario si presenta alla nostra vista con la torre illuminata del Pozzo Donegani; al suono di una sirena vengono formati dei gruppi e la visita inizia. L’oro giallo, lo zolfo scoperto per caso sul finire dell’ottocento, grazie ad un gregge di pecore che rifiutavano di abbeverarsi su di una pozza contaminata dall’anidride solforosa, ha portato ricchezza e disperazione; sì L’ORO GIALLO esportato in tutto il mondo partiva da questi luoghi un tempo dimenticati da Dio, dove la sopravvivenza era legata a madre natura, ai suoi capricci o alla sua magnanimità. Gallerie, pozzi, vasche scavate a mano a forza di badili e zappe; sudore, morte, asfissia. Cottimo: più scavi, più produci, più rischi più guadagni la paga e, in tanti casi, puoi mantenere la moglie e i tuoi dieci figli.

Il Parco Minerario è inondato di luce artificiale in questa notte buia, come a esorcizzare il buio, rotto solo da flebili lanterne, nelle profondità delle gallerie in piena attività. Ma poi tutto finì nel 1952.

I bus ci conducono alla Stazione di Sassoferrato, dove ognuno dei viaggiatori riprende diligentemente il suo posto nelle carrozze, dove i sedili sembrano più scomodi che mai, forse è solo una sensazione dovuta alla stanchezza della maturità? Può essere.

A prescindere, come diceva Totò, questo treno ci ha fatto viaggiare nel tempo, dove la luce della giovinezza era chiara, abbagliante e il mondo correva velocemente, che bisognava rincorrerlo; oggi e in particolare questo 6 luglio 2024, il tempo ci è amico, non ci tallona più. Siamo noi “padroni del nostro tempo” e abbiamo una gran voglia di trascorrerlo insieme in allegria e spensieratezza.

Stazione di Fabriano, domenica 7 luglio 2024; ore 00:26.

Il convoglio ferma al binario 2 e noi scendiamo, ma la FIESTA a bordo continuerà fino ad Ancona.

E mentre la musica dancing anni ottanta risuona all’interno delle carrozze, i viaggiatori che hanno condiviso con noi questa bella esperienza, si affacciano dai finestrini e ci salutano, un po’ come nel finale di un film della Commedia all’italiana.

Ma per noi tutto ciò non è stata una commedia, bensì una BOTTA DI VITA della quale avevamo veramente bisogno.

Alla prossima.

Bruno Bolognesi.

P.S.: Ringrazio anche a nome di mia moglie e dei miei amici con i quali ho vissuto questa esperienza,

L’Agenzia Criluma, la Direzione della Ferrovia Sub Appennina Italica, L’Ente Regione Marche e quanti altri si sono adoperati nel mettere in piedi l’evento: Treno Storico Ancona – Fabriano – Pergola.

Esanatoglia, 09 luglio 2024.

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